martedì 24 giugno 2008

martedì 17 giugno 2008

XI Commissione - Lavoro Pubblico e Privato

RESOCONTO STENOGRAFICO

AUDIZIONE

SEDUTA DI MERCOLEDI' 11 GIUGNO 2008



SIMONE BALDELLI
. Ringrazio il Ministro per la sua presenza puntuale e per il quadro di insieme che in questo momento ci ha dato, anche nella consapevolezza che si tratta di un terreno strategico.
Condividiamo l'osservazione del Ministro sul fatto che la pubblica amministrazione, in questo momento, può essere volano di sviluppo o, addirittura, di freno. Su un tale elemento esiste l’apprezzabile necessità di instaurare un dialogo, raccogliendo gli spunti migliori in termini di eredità riformista che è stata messa in cantiere in questi anni. Mi riferisco tanto a proposte poi divenute leggi vigenti, quanto ad altri spunti di iniziativa politica. Penso ad esempio al disegno di legge Nicolais, che pure è stato approvato da un ramo del Parlamento e poi è rimasto fermo al Senato nella scorsa legislatura.
In parte condividiamo anche l'approccio di una pubblica amministrazione che, se efficiente e funzionante, diventa strumento di equità sociale, nel senso che diventa quel servizio a cui si rivolgono coloro che davvero hanno più bisogno, a differenza di coloro che possono comprare il pubblico nell'ambito di un servizio privato.
Si riconosce, nella pubblica amministrazione che funziona bene, un meccanismo sociale autentico, che aiuta i cittadini che hanno necessità e diventa elemento di sviluppo per l'impresa.
Occorre staccarsi completamente da una logica che vede la pubblica amministrazione agire nella funzione di ammortizzatore sociale, cioè come elemento in cui debba essere assorbita tutta una quantità di individui, di figure socialmente deboli, con i precedenti che abbiamo avuto, dai lavoratori socialmente utili fino alla stabilizzazione che è stata, seppure con certi distinguo, un'operazione su cui ancora adesso risulta piuttosto difficile ricostruire un credibile quadro di impatto finanziario e di valutazione numerica (anche se sappiamo che ci sono stati allarmi provenienti persino dalla Corte dei conti).
In un quadro generale di tre milioni settecento mila dipendenti e quattrocentomila eccedenze, dichiarati dall'allora Ministro Nicolais all'inizio del suo mandato nel 2006, si percepisce l'esigenza di incardinare un concreto discorso di meritocrazia.
È apprezzabile la riflessione del Ministro, quando dice che il pesce puzza dalla testa, che la parte datoriale non riesce a svolgere effettivamente la propria funzione per logiche di compromesso, di quieto vivere e di pace sociale (interna sia alla funzione pubblica, sia al Paese), nonché per un certo modo di intraprendere la relazione industriale. Questa difficoltà è stata effettivamente, sino ad oggi, riscontrata.
Credo che in questo momento, se esistono una volontà e una convergenza a livello parlamentare, politico e anche sindacale (mi pare che ci siano stati segnali importanti, al riguardo), si possa svolgere un ragionamento serio sia in termini - per dirla in linguaggio giornalistico - di lotta al “fannullismo”, sia in termini di controllo e lotta all’assenteismo. Dobbiamo riuscire a raggiungere, nel pubblico, un obiettivo che solo in Italia sembra una rivoluzione copernicana: pagare di più chi lavora di più, pagare di meno chi lavora di meno e poter licenziare chi, in maniera sistematica, non si reca al lavoro.
Abbiamo visto che parti di normative - penso al decreto legislativo n.165 del 2001 - in ordine alla mobilità, non sono state applicate. Esiste una disciplina industriale di contratti del pubblico impiego, che pure prevedeva norme per sanzionare l’assenteismo, su cui si è verificato un abbassamento della guardia negli ultimi anni e su cui, invece, la guardia va rialzata. Sappiamo che esiste un meccanismo difficile, con episodi di cronaca, in ambito sanitario, con processi, licenziamenti e inchieste penali sull’assenteismo.
È necessario dare un segnale, poiché combattere il “fannullismo” e l’assenteismo ci permette di valorizzare quei tanti dipendenti che nel pubblico lavorano. Nel sistema pubblico, quando di due dirimpettai di scrivania uno lavora molto, l’altro non lavora per niente, e guadagnano ambedue lo stesso stipendio, c’è qualcosa che non va e soprattutto si mortifica colui che lavora di più. In questo senso, credo che anche a livello di relazioni industriali, di rinnovo del contratto (su cui si è aperto un dibattito, che è durato per quasi tutta l’intera scorsa legislatura, sull’assegnazione della produttività), penso che si possa tentare di fare, con una certa rigidità, una scommessa sulla dirigenza.
Abbiamo sentito, per molto tempo, accusare la dirigenza di essere una delle cause del malfunzionamento della pubblica amministrazione. Questo può essere vero in parte, completamente, oppure per niente, ma possiamo provare a fare una scommessa per cercare di capire se la dirigenza possa diventare anche una delle possibili soluzioni, assegnandole poteri datoriali effettivi.
Concludo con un accenno rapido a un altro elemento su cui poi, con il tempo, lei,signor Ministro, dovrà cercare di esprimere una valutazione e di disegnare un quadro di insieme. Abbiamo 70 mila vincitori di concorsi e 70 mila idonei che sono stati chiamati dal pubblico, attraverso bandi, a prepararsi e a studiare. Si tratta di persone che hanno vinto un concorso e che, da anni, aspettano di essere assunti dalla pubblica amministrazione. Credo che un tale fatto sia vergognoso per un Paese civile, specie in un clima in cui in passato sono state avviate stabilizzazioni e quant’altro, in cui spesso vigono meccanismi di natura diversa. Con 70 mila persone idonee e 70 mila vincitori, sorgerà forse la necessità di fare una riflessione complessiva anche sul meccanismo dei concorsi, legando l’autorizzazione a bandire alle effettive esigenze di pianta organica e all’autorizzazione ad assumere. Diversamente, abbiamo, con lo scollamento di questi due momenti, una serie di indizioni di concorsi «elettorali» che le amministrazioni fanno a fine mandato, con conseguenti vincitori di concorsi che rimangono senza assunzione.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione. (…) Sull’ISFOL e sui precari la mia posizione è quella di riflettere complessivamente sul tema che ci ha lasciato in eredità il Governo precedente, di fare fronte alle necessità considerando i diritti di chi ha vinto i concorsi, di chi ha superato esami di idoneità, mettendo in gerarchia queste figure e tralasciando altre forme demagogiche e populistiche, che non hanno alcuna ragione. (…)

TRATTO DA simonebaldelli.blogspot.com